Cap.IV b) Fenomeni universali di campo: "pulsazione" e
"interincidenza"
Parte quarta: Il "corpo nero" e l'effetto Compton
La radiazione cavitale, o del "corpo nero"
§ 1. La nascita della meccanica quantistica nel nostro secolo è di quelle che si
definirebbero "podaliche". Il feto si presenta al parto con i piedi invece che
con la testa: l'arte "ostetrica" della fisica moderna suggerisce allora di
salvaguardare i piedi, senza curarsi della testa. Di conseguenza, il genio del ventesimo
secolo è colui che riesce meglio a descrivere la conformazione di un alluce, anche se non
sa dirci che cosa lo fa muovere. Il precedente di questo metodo si può trovare nel cap.I
("L'insetto e la luce") della pagina "Ci sono troppe..." nella
sez.I di questo sito.
Analogamente, la radiazione del "corpo nero" presentò a Planck nel 1900 un
diagramma particolare di curve sperimentali che non rispondevano ai concetti usuali: erano
i piedi del feto. Ebbene Planck, invece di arrivare al perché di quella anomalia -
sforzandosi, cioè, di trovare la testa -, si mise con grande impegno a modificare
l'equazione classica, aggiungendovi nuovi ingegnosi parametri, fino a farne una
"scarpa" - la "formula di Planck" - il più possibile a forma di quei
teneri piedini. Egli decideva, così facendo, - come si legge testualmente
nell'Enciclopedia Italiana alla voce Quanti - "di rinunciare a interpretare il
meccanismo di questo fenomeno". Così la testa, purtroppo, uscì malconcia dal parto.
E perciò ancora oggi nessuno sa, né si preoccupa di sapere, perché il "corpo
nero" si comporta in quella strana maniera. Noi però siamo in grado di dirvelo.
Vediamo, dunque.
§ 2. Nelle figg.55 e 56 riportiamo due stralci della voce citata Quanti
dell'Enciclopedia Italiana, relativi a ciò che abbiamo osservato nel paragrafo
precedente. Il nostro discorso si fa qui necessariamente alquanto più tecnico e più
sintetico, presupponendo una conoscenza almeno generale dell'argomento che va sotto il
nome di "radiazione del corpo nero".
La formula che si legge in testa alla fig.56, indicata con (1), darebbe il valore
dell'intensità della radiazione in relazione alla frequenza e alla temperatura del corpo
nero secondo le leggi classiche dell'elettromagnetismo, ma essa non corrisponde alle
verifiche del fenomeno per le diverse frequenze e temperature, come sperimentalmente
mostrato dal diagramma di fig.55. Quella formula vorrebbe che la massima intensità
(oltretutto, "infinita") risultasse alla massima frequenza, decrescendo con la
frequenza, mentre il diagramma dimostra che tale massimo (non infinito) si raggiunge su
frequenze medie a tutte le temperature (le varie curve del diagramma).

Fig.55

Fig.56
Planck, allora, dopo aver trovato che l'energia è proporzionale alla frequenza
secondo una costante empirica h ("quanto d'azione"), lavora sulla formula
(1) aggiungendovi nuovi complicati parametri e trasformandola infine nella formula (2),
così da costringerla ad aderire alla "gobba" del diagramma. Egli, cioè, si
comporta esattamente come un sarto di fronte a un vero gobbo: un sarto "artista"
che gli cuce pazientemente addosso un vestito, che alla fine gli sta a pennello. A
differenza di un bravo medico, che vuole invece curargli la scoliosi. Noi siamo quel
medico.
§ 3. Ed ecco la cura. Siamo certi addirittura che quelli tra i lettori che ci hanno
letto più attentamente la conoscono già.
L'aumento della temperatura del corpo nero scatena all'interno la fuga dei fotoni in
tutte le direzioni. Le loro interazioni generano propagazioni di tutte le lunghezze d'onda
percepibili strumentalmente. Le loro traiettorie sono innumerevoli, in un andirivieni
inimmaginabile e velocissimo tra le pareti interne del corpo nero; i loro percorsi
complessivi hanno misure diversissime. Lungo questi percorsi opera la
pulsazione: il risultato è che le lunghezze d'onda iniziali aumentano progressivamente e
a partire dalle alte frequenze si trasformano in medie frequenze, tirandosi appresso il
proprio carico corpuscolare. Si forma così, statisticamente, la "gobba" del
diagramma, perché al di là di un certo limite di frequenza i percorsi sono di misura
ridotta. Il sarto Planck non ci aveva pensato, ma i suoi apprendisti ne sanno meno di lui.
Ci consultino per i loro gobbi: la visita è gratuita.
L'effetto Compton
§ 4. E' il naturale seguito dello stesso problema, benché sembrino due cose
differentissime per la fisica ufficiale. Il carattere precipuo di questa è, come diciamo
sempre, la sua assoluta incapacità di correlazione tra gli innumerevoli aspetti della
natura, per l'inesistenza di una visione logica d'insieme.
Anche per questo fenomeno dobbiamo presupporre una conoscenza preliminare
dell'argomento. Nell'esperimento Compton, i fotoni deviati dagli elettroni della sostanza
diffondente presentano un aumento di lunghezza d'onda tanto maggiore quanto maggiore è la
deviazione subita: l'aumento è massimo per la diffusione in senso opposto alla direzione
della radiazione primaria.
Non è consigliabile leggere le infinite pagine di fantasie puramente nominalistiche,
che sono state scritte in proposito, a partire dallo stesso Compton, scopritore
dell'effetto nel 1923 e premio Nobel per la fisica nel 1927. La fisica tradizionale non ha
nessuna idea del carattere gravitazionale del fenomeno e vede solo qualcosa che sbatte
contro qualcos'altro e torna indietro, come qualsiasi ragazzino che gioca a palla contro
un muro: l'unica differenza è che essa usa "nomi" e "formule"
difficili, che non hanno senso fisico. Ve ne diamo, perciò, noi la ragione vera in poche
righe, con il solo riferimento ai nostri concetti sulla gravitazione espressi nelle
sezioni I e II.
L'entità della deviazione è gravitazionalmente tanto maggiore quanto più forte è
l'interazione attrattiva esercitata dal corpo bersaglio (elettrone), che costringe il
fotone a un giro di boa più stretto, e correlativa a questa maggiore interazione è -
dopo quel giro di boa - l'entità della decelerazione del fotone in fuga dal bersaglio che
lo attrae ora in senso contrario, per cui esso, rallentato, risentirà di più delle
successive interazioni lungo il percorso di ritorno nella sostanza diffondente. Tale
percorso, se può sembrare rettilineo e resta mediamente tale tra inizio e fine, è in
realtà modificato continuamente da quelle interazioni, che lo allungano - sia pure in
ambito infinitesimale - di più per una deviazione maggiore, ossia per una maggiore
"frenata" iniziale.
L'allungamento avviene secondo una generale modalità, che è la seguente. La
traiettoria fotonica, che nel "vuoto" tende ad essere rettilinea (Parte prima,
§ 14), in un mezzo materiale omogeneo, a causa delle interazioni mediamente equilibrate
delle particelle circostanti, assume l'aspetto di una infinitesimale elica, che
perciò ne allunga il percorso (non l'asse, che resta invariato). L'elica presenta spire
tanto più ampie, e quindi il percorso è tanto più lungo, quanto minore è la velocità
del fotone nel mezzo. (Alle prevedibili obiezioni degli indeterministi rispondiamo con la
premessa alla sez.IV: noi ci serviamo di una mente che pensa, loro di strumenti che non
pensano.)
La conclusione è ora ovvia: la pulsazione, già chiamata in causa per il "corpo
nero", provoca anche in questo caso l'aumento della lunghezza d'onda della
propagazione che si è creata nel mezzo, aumento maggiore sui percorsi effettivamente più
lunghi, che sono quelli a deviazione maggiore.
Per dirla un'altra volta sotto metafora, i fisici tradizionali ritengono che il
percorso Napoli-Roma sia solo quello in linea d'aria. Ma per ferrovia è più lungo, e se
c'è un incidente, un dirottamento su via Cassino lo rende ancora più lungo.