2) Cicloni e galassie. Buchi veri e buchi neri
§ 12. Usiamo ora Olopoiema per calmare un nuovo stato di
agitazione - quasi uno al giorno - nel quale piombano i mezzi di informazione
investiti dalle mirabolanti notizie che vengono propinate loro generosamente
dalle fonti scientifiche. Oggi, mercoledì 7 giugno 2000, è la volta degli
immarcescibili "buchi neri", riportati alla ribalta da tale John
Kormendy dell'Università del Texas. Costui ne avrebbe individuati almeno 33,
ciascuno al centro di una galassia, e si è messo a dissertare sul cosiddetto
"seme" di buco nero, chiedendosi se questo germe malefico nasce con la galassia o se ne è
invece un prodotto successivo.
Ora noi mostreremo ai nostri
lettori - i quali già sanno dalla sez.I del sito ciò che pensiamo dei
"buchi neri" - che cosa veramente ci può essere al centro di una
galassia. Sarà per loro una sorpresa grandissima constatare dai grafici di
Olopoiema e dal nostro commento esplicativo che al centro di una galassia può trovarsi un
vero ... buco, cioè letteralmente un vuoto, uno spazio privo o
quasi di stelle, assolutamente incapace di divorare le stelle circostanti ma
capacissimo di apparire attraverso segnali fuorvianti come un orco tale. Il fatto non è
accessibile all'osservazione visiva, perché mascherato dalla materia stellare che
normalmente avvolge il
nucleo della galassia.
Cominciamo col fare un ragionamento
che sembra analogico, cioè di somiglianza, ed è invece eziologico,
ossia di causa comune: è questo il senso effettivo della morfogenesi in natura, da
noi ampiamente trattata nella sez.III. Ecco il ragionamento: Perché una
galassia "somiglia" a un ciclone? La risposta è: perché ha una
propagazione generatrice gravitazionalmente identica. Pertanto noi studieremo la
struttura genetica di un ciclone per capire quella di una galassia, anche per le
parti che - come abbiamo detto - ci sono nascoste.
§ 13.
La propagazione di un ciclone a fortissima attrattività centripeta (determinata
dall'abbandono del centro barometrico da parte dell'aria calda in fuga ascendente) presenta un rapporto a'/a prossimo a zero. Il
risultato è un grande addensamento nuvoloso in direzione del centro, con "occhio" ciclonico
ridottissimo, come quello delle trombe d'aria e dei "tornado" più
violenti. Vediamone una rappresentazione con Olopoiema, "Propagazione": in fig.10 il rapporto
suddetto è dato come 0,05. Mentre la propagazione è oraria, col Nord
sotto lo schermo, la materia - ovvero i nembi ciclonici - vortica, come sappiamo, in
senso antiorario, col Nord sopra lo schermo: si tratterà quindi di un ciclone
dell'emisfero boreale.

Fig.10
L'addensamento dei fronti d'onda si visualizza chiaramente,
formando per sovrapposizione due spirali strutturate: una più fitta interna,
relativa alla sorgente gravitazionalmente più intensa, e una esterna, relativa
alla sorgente minore (secondo le leggi di composizione studiate nella sez.III).
Le spirali segnano la via gravitazionale di preferenza della materia nuvolosa
verso l'occhio del vortice, qui ridotto a un piccolissimo tondino di spazio
libero da materia, all'incrocio degli assi. La banda intermedia alle due spirali
comprende la zona più perturbata dell'area ciclonica. La fig.11 corrisponde alla
precedente, eliminandone il disegno delle onde (si tolga 1 in D2)
, e mostra solo l'onda primitiva, col suo "orizzonte
gravitazionale" in rosso e con i due percorsi spirali degli estremi
diametrali delle onde.

Fig.11
§ 14. Aumentiamo ora nella
raffigurazione del ciclone il valore del rapporto a'/a, facendolo pari a 0,3.
Il risultato è in fig.12, questa volta con un ampio "occhio", dove la
perturbazione ondulatoria non è presente: è questa la spiegazione, ignota nella sua vera
natura alla fisica ufficiale, della "calma" che caratterizza appunto
l'occhio del ciclone. E' inoltre più stretta la banda perturbata tra le due
spirali.

Fig.12
Ripetiamo in fig.13 il procedimento di fig.11. Le figg.13 e 11
possono essere efficacemente ricalcate con una seconda "Propagazione"
(altra nera), rimettendo 1 in D2, così da riottenere le rispettive figg.12 e 10.

Fig.13
§ 15. Facciamo crescere ancora il rapporto a'/a,
portandolo a 0,6, ed ecco le figg.14 e 15, con un "occhio" più
esteso e una banda perturbata più stretta tra le due spirali.
Fig,14

Fig.15
§ 16. In ciascuno dei tre esempi riportati, la densità della
materia nuvolosa attirata nel vortice gravitazionale e la sua velocità
rotatoria - velocità orbitale - intorno al baricentro del vortice (all'incrocio
degli assi) aumentano progressivamente in direzione centripeta, toccando il
massimo al limite dell' "occhio" e praticamente annullandosi
all'interno di esso.
I lettori avranno già capito dove si va a parare spostando
l'analisi dal ciclone a una galassia, dal momento che questa differisce dal
primo solo che alle goccioline d'acqua delle nuvole si sostituiscano le stelle.
Innanzitutto, bisogna precisare che i casi concreti non
comportano mai, evidentemente, l'agire di una sola propagazione, come nella
nostra esemplificazione, ma di molteplici di esse, con onde primitive
diversamente elongate intorno al baricentro, tra le quali si può considerare un
rapporto a'/a prevalente.
Ciò premesso, poiché le leggi di composizione (sez.III)
escludono che tale rapporto sia zero, all'interno di qualsiasi sistema
gravitazionale densità e velocità orbitali raggiungono un massimo in
prossimità del baricentro, rimanendo sempre immensamente al di qua delle
farneticazioni su collasso gravitazionale, stelle di neutroni, buchi neri e
fantasie consimili.
Al centro di qualsiasi corpo celeste si deve configurare,
quindi, un più o meno esteso "occhio" del rispettivo vortice
gravitazionale: a seconda del rapporto complessivo a'/a, esso può
risultare estremamente ridotto (rapporto prossimo a zero), con alta densità della materia fin quasi al
baricentro del sistema, oppure di maggiore vastità, crescendo tale rapporto
verso l'equintensità delle sorgenti. A differenza della sua visibilità nel
caso del ciclone, le galassie lo nascondono quasi costantemente a causa
dell'alone galattico, con la diffusa presenza di stelle anche al di sopra del
disco lungo il suo asse
polare.
Le stelle circostanti l' "occhio" d'una galassia
possono bensì manifestare, per le particolari condizioni di densità e alte
velocità rotatorie che le caratterizzano, fenomeni di intense emissioni X e
gamma, che però non sono assolutamente prova di buco nero, più di quanto non
lo sia lo zucchero che brilla intorno al buco d'una ciambella.

Fig.16
Ecco il possibile schema di una galassia - o di un
ciclone complesso -, disegnato da Olopoiema, con tre propagazioni elongate tra
loro di 120°, generate da tre diversi ma vicini rapporti a'/a (0,2;
0,25; 0,3), i cui rispettivi input forniamo nella fig.17
(sottoprogramma "Propagazione" grigia, verde, nera). Le bande spirali,
create dalla intersecazione e dall'affollamento dei fronti d'onda (come si
vedrà bene operando direttamente con Olopoiema), sono perciò la strada
gravitazionalmente preferenziale della materia che s'invortica: le stelle della
galassia, le nuvole del ciclone. Il baricentro del sistema presenta molto
chiaramente l' "occhio" di cui abbiamo parlato, libero dalle onde di
propagazione e quindi dal "peso" della gravitazione dell'intero
sistema: un buco vero, che è l'esatto contrario di un buco nero.

Fig.17
Alla luce di queste considerazioni, ecco il "buco
nero" che anche noi andiamo a scoprire al centro di un ciclone tropicale
dell'emisfero boreale (Enciclopedia del Novecento, dell'Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, alla voce "Meteorologia" di Giorgio e Maurizio Fea) e se ne osservi la straordinaria
corrispondenza con lo schema costruito da Olopoiema in fig.16:
Fig.17-2
NOTA 1:
Cicloni di plasma e cicloni di roccia
a) Il vento solare
Che la fisica contemporanea non sia scienza nel senso
vero del termine, perché non è nemmeno fisica, lo abbiamo continuamente
sottolineato in tutto il nostro discorso, ma lo ribadiamo qui con l'osservazione
della sua duplice incapacità di uscire dalla mera descrizione dei
fenomeni e di stabilirne una logica correlazione tra campi diversi, anche
là dove gli strumenti tecnicamente avanzatissimi di cui dispone gliela mettono
sotto gli occhi. Richiamiamo ai lettori lo scherzo giocato a Van Allen dal campo
magnetico di Giove, da noi raccontato nella sez.I e confermato nel presente
capitolo nel modo più lampante possibile. Eppure, se si va a consultare la voce
"Vento solare ed eliosfera" di Bruno Coppi nel Supplemento della
succitata Enciclopedia del Novecento (vol.VIII), s'incontra il disegno che
riportiamo in fig.17-3, dal quale si evincono entrambe le caratteristiche che
abbiamo riferite alla fisica odierna.
Fig.17-3
Leggiamone nel testo la descrizione - come appunto
dicevamo, cioè un'esposizione priva di ogni motivazione di causa fisica -: "La
propagazione delle particelle solari energetiche nel mezzo interplanetario è
influenzata notevolmente dall'esistenza delle cosiddette 'regioni co-rotanti di
interazione' (CIR). Queste regioni sono ricorrenti e sono caratterizzate da
intensità del campo magnetico relativamente alte, sono limitate ben chiaramente
da discontinuità della velocità del vento solare che incominciano a
svilupparsi al di là di 1,5 UA e sono frequentemente accompagnate da onde
d'urto ai confini oltre 2,5 UA. Queste strutture si producono quando correnti ad
alta velocità del vento solare sorpassano correnti a bassa velocità. Se le
sorgenti delle correnti sono stazionarie nel tempo e associate a buche coronali
diverse, queste regioni appaiono come strutture interplanetarie discrete e
vaste, co-rotanti col Sole, come mostrato nella figura." Nella didascalia
della stessa figura si legge: "Le linee scure a spirale rappresentano due
regioni di correnti, dovute al vento solare emesso dalle buche coronali. La
cavità che si trova tra di esse può formare un condotto per gli elettroni
provenienti dal Sole e, forse, anche da Giove, che percorrono le linee del campo
magnetico interplanetario fino alla Terra, dove sembra che abbiano degli effetti
sulla magnetosfera."
Passiamo a commentare questo testo con relativo disegno,
dandogli la precisione e la definizione di natura fisica che gli mancano
completamente. Si confronti la fig.17-3 in particolare con la fig.16. Le
"linee scure a spirale" della didascalia corrispondono a due delle
nostre bande spirali di fig.16, per esempio alla nera e alla verde, supposte
come partenti dal Sole rappresentato in questo caso dal cerchio rosso (l'
"occhio" del ciclone gravitazionale è, ovviamente, al centro del Sole
ed è per noi irraggiungibile). La prima differenza già abissale è che le
nostre non sono disegnate col pennarello in rapporto alle registrazioni
empiriche del vento solare, ma sono state tracciate matematicamente da
Olopoiema come risultato dell'addensamento equatoriale dei fronti d'onda della
propagazione unigravitazionale eccentrica. Sappiamo perciò che esse sono quelle
stesse "lingue" magneto-gravitazionali che, se mettiamo Giove al posto
del Sole, fecero dannare Van Allen col suo Pioneer 10 e che dimostrano
l'anzidetta incapacità di correlazione degli scienziati odierni messi di fronte
a fenomeni solo distanti nel tempo e nell'ambito di osservazione.
Tipica dell'altra incapacità, quella di dare spiegazioni di
causa, è la frase del testo "Queste strutture si producono quando correnti
ad alta velocità del vento solare sorpassano correnti a bassa velocità".
Come se le diverse velocità delle correnti fossero la causa delle strutture e
non, invece, l'effetto delle stesse, cioè dell'alternarsi di "lingue"
e "cavità" del campo magnetico interplanetario, esattamente come lo
configura la fisica unigravitazionale.
Ma vediamo come la descrizione criptica del testo
dell'Enciclopedia trova completa spiegazione solo nella nostra visione fisica.
Le bande spirali di fig.16 sono disegnate come se avessero la loro sorgente in
altrettante "buche coronali" del Sole, per usare l'espressione
del testo, ovvero focolai di particolare attività solare che ne
"bucano" la corona. Supponiamo di aumentare il numero delle buche e
delle conseguenti "lingue". Constateremo subito che le bande si
addossano l'una all'altra in vicinanza del Sole, ma si divaricano sempre più
tra loro con l'aumento della distanza dal Sole, che misuriamo in UA (l'Unità
Astronomica è la distanza media tra Terra e Sole, di circa 150 milioni di
chilometri). Esse diventano quindi separabili (in base alle discontinuità della
velocità del vento solare) solo al di là di 1,5 UA e, essendo co-rotanti col
Sole, si aprono a ventaglio oltre 2,5 UA, formando così "strutture
interplanetarie discrete e vaste" e creando sui propri confini esterni (la
convessità dei bracci di spirale) delle "onde d'urto" durante la
rotazione. S'è fatta luce piena in una stanza buia: quella della fisica
accademica.
b) Macchie e protuberanze solari. L'arcobaleno
Se trasferiamo il fenomeno ciclonico sulla materia
incandescente della superficie solare, capiremo la causa delle "macchie
solari", che sono dei vortici gravitazionali del tutto analoghi ai cicloni
della nostra atmosfera, alla Grande Macchia Rossa di Giove e agli immensi
cicloni formati dalle stelle di una galassia.
Occorrerà rileggere il nostro saggio del 1972, riprodotto in
sez.V, Magnetismo e terremoti, per rendersi conto del fatto che
l'inversione di polarità magnetica delle macchie solari da un ciclo all'altro
corrisponde esattamente al fenomeno della stratificazione delle rocce terrestri
a polarità invertita, che la cecità della fisica corrente attribuisce a una
generale inversione del campo magnetico terrestre, invece che a un progressivo
accomodamento magnetico da strato a strato, come si chiarisce in quel
saggio. Tale raccordo avviene con ciclica regolarità in una materia
fluida come quella solare, mentre comporta continui scossoni - i terremoti,
appunto - nella materia solidificata delle crosta terrestre.
Diremo dunque che le macchie solari sono la sismicità
del Sole, mentre le "protuberanze" ne rappresentano il vulcanesimo,
che è la manifestazione esplosiva superficiale degli scontri interni provocati
da quell'accomodamento magnetico tra strati di sedimentazione che è la
sismicità.
Ma è di estremo interesse rilevare che l'effetto ciclonico di
cui stiamo parlando si palesa anche nelle cosiddette "protuberanze ad
anello", dove la materia proiettata viene nella parte visibile reingoiata
dal Sole in un vortice del tutto identico alla propagazione unigravitazionale
eccentrica. Eccone la descrizione che ne fa la EST (Enciclopedia della Scienza e
della Tecnica, Mondadori) alla voce "Sole" e le relative immagini in
fig.17-4: La caratteristica che distingue le protuberanze ad anello è
la presenza di un piccolo nucleo di materia, con diametro intorno ai 5000 km, in
un dato punto situato al di sopra della superficie solare. Da questo nucleo
apparentemente inesauribile la materia sgorga incessantemente verso la
cromosfera percorrendo uno o due archi di cerchio ben definiti, la cui parte
inferiore può essere tagliata fuori dalla cromosfera. Il fenomeno può essere
unico, oppure più nuclei possono dare origine a parecchi anelli la cui materia
scorre verso la stessa regione della cromosfera, dando l'impressione di una
molla a spirale con le spire legate assieme verso il basso.

Fig.17-4
Migliore
descrizione non si poteva dare del nostro campo unigravitazionale, in una vista
tridimensionale: tanto più impressionante, in quanto separata dalla
teorizzazione generale che ne diamo noi. Ma improvvisamente e in modo
impensabile il testo e la figura precedenti ci offrono la soluzione di un altro
mistero, naturalmente solo alla luce della nostra fisica. L'espressione "uno
o due archi di cerchio ben definiti, la cui parte inferiore può essere tagliata
fuori dalla cromosfera", con la sola sostituzione della superficie
terrestre a quella solare, ci disegna con stupefacente precisione il fenomeno
familiarissimo della sospensione magnetica di goccioline d'acqua
nell'arcobaleno! L'apparente stazionarietà è dovuta all'effetto strutturante
dei fenomeni di pulsazione e interincidenza da noi studiati nella sez.III, che
agiscono poco nella condizione di instabilità termodinamica esistente nel Sole.
c) Cicloni orogenetici
Sarà ormai chiaro a tutti che, nel trapasso di un astro dallo
stato fluido incandescente a quello solido, il fenomeno ciclonico tende a
sclerotizzarsi assumendo l'aspetto degli attuali sistemi montuosi e delle
dorsali serpeggianti, siano esse sottomarine o emergenti come i tanti
arcipelaghi a ghirlanda che conosciamo. La stessa nostra catena delle Alpi ha la
forma di un vasto ciclone geologico, con "occhio" nel Monferrato.
L'orografia dei nostri atlanti porta innumerevoli esempi di una orogenesi
che ci riconduce a un ambiente magmatico terrestre analogo a quello delle
attuali macchie solari.
In un servizio pubblicato su un settimanale una trentina d'anni
fa, Walter Bonatti riferiva che dalla vetta del vulcano Licancabur, al confine
tra Cile e Bolivia, guardando le valli della Luna verso il deserto di Atacama,
aveva visto un corrugamento di monti e di valli a forma di spirale, come
"l'occhio d'un ciclone o una galassia".
Naturalmente le strutture cicloniche orogenetiche sono ben
presenti in qualsiasi corpo celeste di tipo planetario, come mostra la fig.
17-5, che
riprendiamo dalla voce "Sole e pianeti" di AA. VV. della più volte
citata Enciclopedia del Novecento, osservandone la solita assoluta mancanza di
motivazione causale. Dice la didascalia: Struttura a spirale della calotta
polare nord di Marte.

Fig.17-5
Al di là del suo chiaro significato generale, ora definito,
l'immagine precedente riveste un'importanza grandissima per un altro aspetto che
illustreremo in dettaglio nella successiva NOTA 2 e che fa il paio con i
guai sofferti da Andromeda nell'astrofisica contemporanea, dei quali abbiamo
parlato
nella Nota alla parte terza del cap.IV b) della sez.III.
Per la solita istanza di correlazione tra fenomeni naturali
solo in apparenza diversi - esigenza che le teorie fisiche contemporanee sono
impotenti a soddisfare - rileviamo qui che la propagazione gravitazionale
concentrica, non attinente a questo capitolo ma che abbiamo ampiamente studiato
nella sez.III come risultato della legge di composizione ondulatoria,
trova innumerevoli riscontri strutturali anche in ambito di tettonica e
orogenesi planetaria. Ne mostriamo un esempio in fig.17-6, presa dalla
stessa voce dell'Enciclopedia del Novecento, che mostra la superficie di
Callisto, satellite di Giove (uno dei quattro medicei scoperti da Galileo), con
una enorme configurazione di anelli concentrici. Addirittura comico è in questo
caso il tentativo di spiegazione che se ne dà nel testo, con l'attribuzione
della struttura al solito colossale impatto meteoritico. Diciamo
"solito", perché i meteoriti nella scienza ufficiale sono
assurti al ruolo di deus ex machina di tutto ciò che essa non sa:
dall'origine della vita sulla Terra alla scomparsa dei dinosauri, ed altre
simili amenità.

Fig.17-6
La didascalia recita: Particolare della superficie di
Callisto, caratterizzata da una immensa struttura circolare probabilmente
causata da un impatto meteoritico su ghiaccio. Facciamo allora constatare
all'autore che identiche strutture si ritrovano sulla punta di un ago di
tungsteno e sono formate da atomi disposti in cerchi concentrici e
ingranditi 2 milioni di volte: la fig.17-7 è ripresa da LA FISICA E
L'ATOMO (Zanichelli ed., Bologna), articolo di E. W. Mueller "Gli atomi
resi visibili". E' difficile pensare, almeno questa volta, a un impatto
meteoritico proprio sulla punta di un ago.

Fig.17-7
NOTA 2:
Un problema su Marte
Se sottoponete la fig.17-5, fotografia della calotta
polare nord di Marte, a un astronomo ufficiale, egli non troverà nulla da
aggiungere a titolo di spiegazione alla didascalia che noi abbiamo riportata
dall'Enciclopedia: Struttura a spirale della calotta nord di Marte.
Eppure essa, presa da sola, rivela un'anomalia inspiegabile. Le spirali segnano
un corrugamento, coperto di ghiaccio, della superficie di Marte in senso orario
centripeto (cioè verso l' "occhio"), laddove un ciclone geologico - secondo la nostra analisi - dovrebbe
avere un andamento antiorario in un emisfero settentrionale, che è
caratterizzato da rotazione antioraria (vista appunto dal polo Nord).
Per inquadrare bene il problema, si ponga mente all'esempio
già dato dell'imponente ciclone geologico delle nostre Alpi. Esse, infatti, nel
nostro emisfero boreale mostrano uno sviluppo a spirale logaritmica antioraria
in direzione dell' "occhio" situato nel Monferrato, analogamente alle
perturbazioni meteorologiche, e - come le bande di fig.16 - vanno restringendosi
in senso centripeto, cioè verso l'occhio ciclonico. Come spiegare allora
l'inversione di senso che stiamo osservando su Marte?
Come sempre, è solo la fisica unigravitazionale, e mai la
scienza accademica, a dare la risposta. Non ci stancheremo di ripetere,
tuttavia, che il significato della nuova fisica sta nella sua capacità
teoretica di correlare organicamente tutte le parti del suo discorso. In questo
caso, sarà necessario rileggere il fondamentale nostro saggio del 1972 Magnetismo
e terremoti, riprodotto in sez.V, sull'interazione tra domini
magneto-gravitazionali nel processo di aggregazione della materia: articolo del
quale qui possiamo solo riportare le conclusioni di fatto.
Cominciamo con l'estendere in fig.17-8 il campo della
fotografia a un orizzonte molto più vasto, concentrico al polo Nord di Marte
(immagine del 1999, dalla missione "Mars Global Surveyor").
Osserveremo che la calotta polare in senso stretto, interamente coperta di
ghiaccio, è contornata da due enormi bracci di spirale montuosa, che vanno
restringendosi in senso antiorario, esattamente come le Alpi, verso il loro
"occhio" costituito dalla calotta anzidetta.

Fig.17-8
Il motivo per cui la zona di corrugamento interna ha un
andamento opposto - orario invece che antiorario - è spiegato in quello stesso
articolo, e cioè come un processo di raccordo antiparallelo (ossia a poli
invertiti) tra un dominio
maggiore, quello dell'intero pianeta (coi due bracci esterni), e domini
subordinati, quelli di masse interne interagenti col primo. Si tratta insomma,
con modalità diverse, di quello stesso processo di accomodamento locale di
natura magneto-gravitazionale che abbiamo messo in luce nei fenomeni di
inversione di polarità nelle macchie solari e tra gli strati terrestri:
fenomeni che i geofisici fantasticamente attribuiscono a una inversione continua
del campo magnetico dell'intero astro.
In dettaglio, la calotta nord di Marte è divisa da un solco -
come si vede nell'immagine - in due gruppi di spirali orarie, con due diversi
baricentri e due assi diversi, le quali, mentre si armonizzano antiparallelamente col dominio
principale, sono in parallelismo tra loro, e quindi discordi: da ciò il solco che le
distanzia.
I particolari di questo discorso si troveranno nell'articolo citato.
Qui possiamo solo riprodurre in fig.17-9 la fig.7 di quel saggio,
precisando che il dominio di destra corrisponde gravitazionalmente alla
situazione su Marte ora illustrata (il dominio di sinistra ne rappresenterebbe
la condizione magnetica). Premesso che la figura seguente è in
proiezione polare invece che equatoriale, vi si mostra chiarissimo il fatto che
i due bracci montuosi esterni di Marte hanno l'andamento antiorario dell'intero
dominio (si veda la freccetta rotatoria intorno alla N), mentre i due sistemi
interni manifestano sul loro equatore il senso orario dei dipoli minori interni del dominio in figura,
che hanno appunto equatorialmente il Sud in alto. Dopodiché, sfidiamo
chiunque a preferire la fisica accademica alla nostra.

Fig.17-9